Rivalutazione: il commento a Strasburgo di Sabrina Cestari


 

Riporto qui di seguito l’articolo, che sottoscrivo integralmente, pubblicato sul proprio sito da Sabrina Cestari in merito alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 3 settembre 2013, causa  M.C. ed altri c. Italia, Ricorso n. 5376/11, procedimento nel quale i ricorrenti erano rappresentati dagli Avvocati Massimo Dragone del foro di Venezia e Claudio Defilippi di quello di Milano.

 

Alberto Cappellaro 

 

Centosessantadue danneggiati (o eredi di danneggiati) contagiati da HCV e/o HIV e/o HBV a seguito di somministrazione di sangue o emoderivati infetti, titolari dell’indennizzo ex lege 210/92, percepito proprio per i danni permanenti subiti, adivano la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu).

I ricorrenti, dopo aver premesso che il beneficio de quo è composto da due somme: un indennizzo fisso ed una indennità integrativa speciale (iis), lamentavano che questa seconda componente, per altro la più consistente, non era oggetto di rivalutazione annuale ed invocavano la violazione degli articoli articoli 6 § 1, 13 e 14 della Convenzione, 1 del Protocollo n. 1 e 1 del Protocollo n. 12 alla Convenzione.

Invero, con sentenza n. 15894/2005 la Corte di cassazione aveva stabilito, in relazione all’indennizzo in oggetto, che occorreva interpretare l’articolo 2 della legge 210/92, istitutiva dello stesso, nel senso che i due importi che lo compongono fossero entrambi rivalutati annualmente. A comprova di tale orientamento i ricorrenti producevano un elenco di circa centotrenta decisioni di merito emesse tra il 2005 e il 2009, con le quali il Ministero della Salute era stato condannato al pagamento dell’indennizzo integralmente rivalutato. Tuttavia, successivamente, la stessa Corte di cassazione (sentenza n. 21703/2009) aveva mutato il proprio orientamento, ritenendo, al contrario, che la rivalutazione dovesse riguardare soltanto l’indennizzo di base e non l’iis. Il Governo era poi intervento con il decreto legge n. 78/2010, entrato in vigore il 31 maggio 2010, stabilendo che l’articolo 2 della legge n. 210/1992 doveva essere interpretato nel senso che la somma corrispondente all’importo dell’iis non doveva essere rivalutata (articolo 11, comma 13, del decreto) e che le misure prese, sino a quel momento, in virtù di un titolo esecutivo, che avevano portato alla rivalutazione integrale dell’indennizzo, cessavano di avere effetto dalla data di entrata in vigore del decreto stesso (articolo 11, comma 14, del decreto). In ordine alla costituzionalità di tali norme era successivamente intervenuta la Corte Costituzionale, che con sentenza n. 293/2011 aveva affermato che il succitato decreto creava una disparità di trattamento tra due categorie di titolari di indennizzo ex lege n. 210/1992, ossia tra coloro che ne beneficiavano in quanto danneggiati dall’assunzione di talidomide e coloro che ne beneficiavano in quanto affetti da HCV, HBV, HIV a seguito di trasfusioni, invero, per i primi l’iis veniva rivaluta annualmente (ai sensi della legge n. 244/2007 e del decreto n. 163/2009), mentre per i secondi la rivalutazione era stata esclusa. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale la Cassazione aveva ripreso a pronunciarsi a favore della rivalutazione dell’iis (ordinanza n. 10769 del 21 giugno 2012), respingendo, per altro, anche l’interpretazione avanzata dal Ministero della Salute secondo la quale tale sentenza avrebbe avuto un effetto retroattivo soltanto a partire dal 28 dicembre 2007, data dell’entrata in vigore della legge n. 244/2007 che garantiva l’indennizzo alle persone affette dalla sindrome da talidomide. Invero, secondo la Corte di cassazione la sentenza della Corte costituzionale doveva essere interpretata retroattivamente estendendo i suoi effetti anche al periodo anteriore a tale data.

Nel caso sottoposto al giudizio della Cedu alcuni dei ricorrenti, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge n. 78/2010, avevano perduto in tutto o in parte il beneficio della rivalutazione a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, altri, nonostante avessero ottenuto una sentenza passata in giudicato di riconoscimento del diritto alla rivalutazione, non avevano ancora avuto l’adeguamento integrale dell’indennizzo, altri ancora non avevano ottenuto la rivalutazione, non avendo instaurato il relativo giudizio a causa dell’introduzione della norma interpretativa contenuta nel decreto. Tale situazione, evidenziavano i ricorrenti, non era mutata neppure a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 11, commi 13 e 14, del decreto legge n. 78/2010.

Il Governo italiano in primis aveva eccepito avanti alla Cedu che, in applicazione delle leggi sulla suddivisione delle funzioni tra Stato e Regioni in materia di salute, il pagamento della rivalutazione dell’iis ai ricorrenti rientrava, per la maggior parte di loro, nella competenza della Regione Veneto e, per una residua minoranza in quella del Ministero della Salute, ed aveva altresì affermato di aver provveduto a rivalutare integralmente il beneficio a partire dall’anno 2012 per coloro che erano pagati direttamente dal Ministero. Sempre secondo il Governo le questioni poste dai ricorrenti alla Cedu non erano più attuali a seguito della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, avendo quest’ultima cancellato il decreto legge n. 78/2010 dal sistema giuridico nazionale.

Secondo i ricorrenti, lo Stato italiano aveva violato gli articoli 6 § 1 (“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente…. da un tribunale….il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile..”) e 13 della Convenzione (“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”). Il Governo era, infatti, intervenuto tramite l’emissione del decreto legge n. 78/2010 in un tema oggetto di dibattito giurisprudenziale, che aveva dato luogo a numerose cause pendenti, nelle quali il Governo stesso era parte convenuta.

Nella sentenza qui commentata la Corte si è espressa in primis in ordine alla ricevibilità del ricorso, stabilendo che chi non aveva proposto ricorsi interni non poteva lamentare una ingerenza del potere legislativo volta a influire sulla conclusione di cause pendenti e che, pertanto, con riferimento a tali casi, l’articolo 6 § 1 non è applicabile. La Corte ha, altresì, ritenuto non ricevibile il ricorso, in quanto prematuro, per i ricorrenti che avevano, al momento della proposizione, ancora una causa pendente.

Così delineati i casi di irricevibilità la Corte, entrando nel merito, ha affermato che, in linea di principio, il potere legislativo può regolamentare in materia civile, con nuove norme a portata retroattiva, i diritti derivanti da leggi in vigore, tuttavia, il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’articolo 6 § 1 si oppongono, a meno che non sussistano imperiosi motivi di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare l’esito giudiziario della lite. Il diritto ad un processo equo, garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, deve essere interpretato, ha sottolineato la Corte, alla luce del preambolo della Convenzione che enuncia come la preminenza del diritto sia un elemento del patrimonio comune degli Stati contraenti. Invero, afferma la Corte, uno degli elementi fondamentali della preminenza del diritto è il principio della certezza dei rapporti giuridici che vuole, tra l’altro, che la soluzione data in maniera definitiva a qualsiasi lite dai tribunali non sia più rimessa in discussione. Orbene, nel caso di specie la questione di stabilire se l’iis fosse soggetta a rivalutazione annuale era al centro di un dibattito giurisprudenziale complesso, nel quale lo Stato italiano era parte, e l’adozione del decreto legge n. 78/2010 ha fornito, secondo la Corte, una interpretazione autentica della legge n. 210/1992 nel senso favorevole allo Stato convenuto nei processi pendenti. Per altro, ha osservato la Corte, a seguito dell’introduzione del decreto, i ricorrenti che avevano ottenuto una sentenza definitiva favorevole, si sono visti rifiutare la rivalutazione a partire dalla data di entrata in vigore del decreto, altri, nonostante il riconoscimento del diritto, non hanno mai ottenuto l’esecuzione delle proprie sentenze, altri, i cui giudizi erano pendenti, si sono visti negare il riconoscimento del diritto, altri ancora non hanno impugnato le sentenze a loro sfavorevoli a causa dell’introduzione della norma contenuta nel decreto. Conseguentemente il decreto ha introdotto una norma interpretativa autentica che ha determinato l’esito dei procedimenti pendenti, privato di effetto le decisioni favorevoli già ottenute dai danneggiati o interrotto l’effetto di quelle alle quali era già stata data esecuzione. A giudizio della Corte non emerge, per altro, dai fatti succitati che lo Stato italiano, abbia adottato il decreto per perseguire uno scopo diverso dalla mera preservazione dei suoi interessi economici, né che l’introduzione delle norme impugnate corrisponda ad un “imperioso motivo di interesse generale”, interesse, che il Governo italiano non ha neppure invocato. Sottolinea la Cedu, nella sentenza qui commentata, come la stessa Corte costituzionale ha dichiarato che questi stessi criteri sono contrari all’articolo 3 della Costituzione, in quanto comportano una disparità di trattamento tra due categorie di persone che beneficiano dell’indennità prevista dalla legge n. 210/1992 inoltre, evidenzia la Corte, neppure dopo la data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, i ricorrenti hanno ottenuto la rivalutazione integrale dell’indennizzo. La Cedu ha affermato, pertanto, che l’adozione del decreto legge n. 78/2010 ha leso il principio della preminenza del diritto ed il diritto dei ricorrenti ad un processo equo sancito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.

I danneggiati nel ricorso che ha dato origine alla sentenza qui commentata sostenevano, altresì, la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”), argomentando che senza rivalutazione la somma dell’iis era destinata a perdere progressivamente il suo valore in ragione della svalutazione monetaria. La Corte a tal riguardo ha ricordato che, secondo la sua giurisprudenza, un ricorrente può dedurre violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 soltanto nella misura in cui le decisioni che contesta si riferiscono ai suoi “beni”, e che tale nozione può ricomprendere sia “beni attuali” che valori patrimoniali, compresi, in alcune situazioni ben definite, i crediti. Affinché un credito possa essere considerato un “valore patrimoniale” rientrante nel campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, occorre, secondo la Corte, che il titolare del credito dimostri che quest’ultimo ha una base sufficiente nel diritto interno, per esempio che è confermato da una consolidata giurisprudenza. Una volta che ciò è acquisito può entrare in gioco la nozione di “aspettativa legittima”. La Corte, nel caso di specie, ha evidenziato che alcuni dei ricorrenti erano titolari, prima che intervenisse il decreto legge n. 78/2010, proprio di un interesse patrimoniale che costituiva, se non un credito nei confronti della parte avversa, almeno una “aspettativa legittima” di poter ottenere il pagamento delle somme controverse e che costituiva, quindi, un “bene” nel senso della prima frase dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. La Cedu ha affermato inoltre che i ricorrenti che hanno il diritto all’indennità prevista dalla legge n. 210/1992 sono titolari di un interesse di questo tipo a partire dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 293/2011. Conseguentemente la Corte ha ritenuto l’articolo 1 del Protocollo n. 1 invocato dai ricorrenti applicabile al caso di specie. Invero, il decreto legge, regolando definitivamente nel merito la questione e provocando l’interruzione dell’esecuzione delle decisioni favorevoli ai ricorrenti, ha comportato una ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni. Secondo la Corte, pur supponendo che il decreto contestato sia stato adottato per una causa di “pubblica utilità”, una ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve mantenere un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo e deve esistere, altresì, un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito dalla misura che priva una persona della sua proprietà. La Cedu ha evidenziato anche il contesto nel quale il decreto è intervenuto: i ricorrenti sono affetti da gravissime patologie, l’iis rappresenta più del 90% dell’importo globale dell’indennizzo, che per altro, mira a coprire i costi dei trattamenti sanitari e le aspettative riguardanti le possibilità di sopravvivenza e di guarigione dei danneggiati. Secondo la Corte, l’adozione del decreto-legge n. 78/2010 ha, pertanto, fatto pesare un carico anormale ed esorbitante sui ricorrenti, ha leso i loro beni e tale lesione ha assunto un carattere sproporzionato, rompendo il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui. Anche per questo motivo vi è stata, a parere della Corte, violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

Nel ricorso che ha dato origine alla sentenza qui commentata i danneggiati lamentavano anche la violazione dell’articolo 14 della Convenzione (“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella…. Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.”) e la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 12 alla Convenzione (“Il godimento di ogni diritto previsto dalla legge deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l`origine nazionale o sociale, l`appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione. Nessuno potrà essere oggetto di discriminazione da parte di una qualsivoglia autorità pubblica per i motivi menzionati al paragrafo 1.”).

Per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo all’articolo 1 del Protocollo n. 12 alla Convenzione, la Corte ha rilevato che questo Protocollo, firmato dal Governo italiano il 4 novembre 2000, non è stato ancora ratificato dall’Italia ed ha, conseguentemente, rigettato la relativa parte del ricorso per incompatibilità ratione personae con le disposizioni della Convenzione, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo all’articolo 14 della Convenzione, la Corte ha rilevato che i ricorrenti hanno invocato questo motivo in combinato disposto con l’articolo 2 della Convenzione e, pertanto, ha esaminato questi aspetti congiuntamente. In relazione alla presunta disparità di trattamento, sollevata dai ricorrenti, con riferimento ai danneggiati danneggiati da vaccino titolari dello stesso indennizzo, che godono per legge della rivalutazione dell’iis, la Corte ha condiviso il parere già espresso della Corte Costituzionale, ovvero che tale disparità non esiste. Nella sentenza n. 423/2000 la Corte Costituzionale aveva già affermato, infatti, che l’indennizzo è concesso in caso di danni da vaccinazioni obbligatorie sulla base dell’esistenza di un interesse pubblico alla salute collettiva, tale principio non può valere per le persone infettate a seguito di trasfusioni, per le quali non esiste un obbligo imposto a fini di solidarietà della società. Conseguentemente, la Cedu ha rigettato questa parte del ricorso in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione. Per quanto concerne gli altri profili di discriminazione sollevati dai ricorrenti, la Cedu ha evidenziato in primis che, nonostante la Corte Costituzionale abbia accolto il profilo di illegittimità in relazione alla discriminazione tra danneggiati da trasfusione e danneggiati da talidomide, la sentenza è rimasta priva di effetti nei confronti dei ricorrenti. La Corte ha, quindi, condiviso la tesi dei ricorrenti sulla disparità di trattamento in relazione ai danneggiati da talidomide ed ha, conseguentemente, ritenuto che l’articolo 14 non sia stato rispettato.

I ricorrenti avevano anche eccepito che la situazione denunciata violava, altresì, il principio di divieto dell’abuso di diritto, garantito dall’articolo 17 della Convenzione (“Nessuna disposizione della… Convenzione può essere interpretata nel senso di comportare il diritto di uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella… Convenzione o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convezione.”). Tale motivo è stato ritenuto irricevibile dalla Corte, in quanto manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

La Corte, nella sentenza qui commentata, ha poi spiegato che, al fine di agevolare l’effettiva attuazione delle sue sentenze, la stessa può adottare la procedura della “sentenza pilota”, che le permette di far emergere l’esistenza di problemi strutturali all’origine delle violazioni e di indicare le misure o le azioni particolari che lo Stato convenuto dovrà prendere per porvi rimedio. Tale procedura si propone di indurre lo Stato convenuto a trovare, a livello nazionale, una soluzione alle numerose cause individuali originate dallo stesso problema strutturale, dando così effetto al principio di sussidiarietà che è alla base del sistema della Convenzione, di modo che la Corte non debba reiterare la sua constatazione di violazione in una lunga serie di cause simili. L’azione dello Stato convenuto può anche comprendere, ha evidenziato la Corte, l’adozione di soluzioni ad hoc quali le composizioni amichevoli con i ricorrenti o le offerte unilaterali d’indennizzo, in conformità con le esigenze della Convenzione. Nel caso di specie, ha sottolineato la Cedu, migliaia di persone hanno presentato ricorsi interni per ottenere la rivalutazione dell’iis, la stessa Corte ha ricevuto numerosi ricorsi aventi lo stesso oggetto e la questione riguarda inoltre potenzialmente ogni persona infettata a seguito di trasfusioni che benefici dell’indennizzo. Le violazioni lamentate dai ricorrenti sono, quindi, il risultato di un problema sistemico che deriva dal mancato riconoscimento da parte delle autorità competenti della rivalutazione dell’iis, anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 293/2011 e, a giudizio della Corte, tale situazione costituisce una prassi incompatibile con la Convenzione. Per questi motivi la Cedu nel caso di specie ha deciso di applicare la procedura della “sentenza pilota”, sottolineando che è necessario offrire con urgenza alle persone interessate una riparazione appropriata su scala nazionale. La Corte ha poi ricordato che, individuata la carenza strutturale, spetta alle autorità nazionali adottare, retroattivamente se occorre, le misure correttive necessarie ed ha, quindi, invitato lo Stato italiano a fissare, entro sei mesi dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva, in collaborazione con il Comitato dei Ministri, un termine inderogabile entro il quale si impegna a garantire, con misure legali e amministrative appropriate, la realizzazione rapida ed effettiva dei diritti in questione. Il Governo è stato invitato, quindi, dalla Corte, a pagare entro il termine stabilito, un importo corrispondente alla rivalutazione dell’iis ad ogni persona che beneficia dell’indennizzo, a partire dal momento in cui è stato riconosciuto, indipendentemente dal fatto che l’interessato abbia o meno avviato una procedura volta ad ottenere tale beneficio.

La Corte ha poi deciso che l’esame dei ricorsi non comunicati aventi lo stesso oggetto dovrà essere rinviato per un periodo di un anno a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva, riservandosi la facoltà, in qualsiasi momento, di dichiarare irricevibile una causa dello stesso tipo o di cancellarla dal ruolo in seguito ad una composizione amichevole tra le parti o ad una risoluzione della controversia con altri mezzi, conformemente agli articoli 37 e 39 della Convenzione.

I ricorrenti avevano infine richiesto alla Corte per danni materiali subiti euro 1.144.555,63 (in totale), più un importo complessivo di euro 8.890.200 per i danni morali, tali richieste erano state avanzate ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione (“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”.). Sotto questo aspetto la Corte ha ritenuto la questione dell’applicazione dell’articolo 41 non istruita, di conseguenza si è riservata, tenuto anche conto della possibilità che il Governo ed i ricorrenti giungano ad un accordo.

In conclusione, la Cedu, nella sentenza qui commentata, ha dichiarato che nel caso della mancata rivalutazione dell’indennità integrativa speciale dell’indennizzo ex lege 210/92, vi è stata da parte dello Stato italiano una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione ed una violazione dell’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. Lo Stato italiano dovrà fissare, pertanto, entro sei mesi a partire dal giorno in cui la sentenza diverrà definitiva, di concerto con il Comitato dei Ministri, un termine obbligatorio entro il quale si impegnerà a garantire, con misure legali e amministrative appropriate, la realizzazione effettiva e rapida dei diritti in questione, in particolare tramite il pagamento della rivalutazione dell’iis ad ogni persona cui era stata riconosciuta l’indennità prevista dalla legge n. 210/1992, a partire dal momento in cui quest’ultima le è stata riconosciuta ed indipendentemente dal fatto che l’interessato abbia o meno avviato un procedimento volto ad ottenerla.

  Avvocato Sabrina Cestari   Questo articolo è pubblicato sui seguenti siti: www.laprevidenza.it