Risarcimento: valore probatorio dei provvedimenti emessi nel procedimento amministrativo ex lege 210/1992


Come avevamo anticipato in alcuni articoli pubblicati sui nostri siti, con pronuncia n. 15734/2018 la Suprema Corte, nei giudizi risarcitori promossi contro il  Ministero della Salute, aveva attribuito natura di prova legale al verbale della Commissione medica di cui all’art. 4 della L. 25 febbraio 1992 n. 210 (in seguito: C.M.O.) che riconosca la sussistenza del nesso causale fra l’emotrasfusione e la malattia … ai fini della liquidazione delle prestazioni assistenziali disciplinate dalla legge richiamata.

Secondo la Cassazione, infatti, in questa fattispecie, nella quale le parti del giudizio coincidono con quelle del procedimento amministrativo, l’accertamento è imputabile allo stesso Ministero, che lo ha espresso per il tramite di un suo organo, e, pertanto, nel giudizio di risarcimento del danno il giudice deve ritenere “fatto indiscutibile e non bisognoso di prova” la riconducibilità del contagio alla trasfusione.

Il principio era stato condiviso da numerose pronunce successive (si veda ad esempio Cass. n. 13008/2020).

Con ordinanza interlocutoria n. 32077/2022 la Terza Sezione Civile della Corte si poneva in contrasto con questo orientamento, evidenziando come, secondo tale verbale, al di fuori del procedimento amministrativo per la concessione dell’indennizzo, costituisce prova legale ex art. 2700 c.c. solo limitatamente ai fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o dalla stessa compiuti, mentre le valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione espresse forniscono unicamente materiale indiziario, soggetto al libero apprezzamento del giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può attribuire alle stesse il valore di vero e proprio accertamento.

La Terza Sezione rimetteva pertanto gli atti al Primo Presidente, che assegnava il ricorso alle Sezioni Unite.

Le predette Sezioni Unite si sono pronunciate sulla questione con sentenza n. 19129/2023, con la quale hanno escluso che al verbale citato possa attribuirsi valore di prova legale, come tale vincolante per il giudice.

Le Sezioni Unite evidenziano innanzi tutto come, dalla normativa vigente, si tragga la conclusione che le C.M.O. sono estranee all’organizzazione del Ministero della Salute … e costituiscono articolazioni del Ministero della Difesa, ad esse è semplicemente affidata, per effetto di specifiche disposizioni di legge, la competenza ad esprimere valutazioni tecniche, che integrano atti endoprocedimentali strumentali all’adozione di provvedimenti riservati a Ministeri diversi da quello di appartenenza … La Commissione medica, quindi, nell’effettuare l’accertamento alla stessa demandato … , non agisce quale organo del Ministero della Salute e la valutazione espressa impegna quest’ultimo, anche in sede amministrativa, nei soli limiti della disciplina dettata per il procedimento nel quale l’atto si inserisce.

Le Sezioni Unite evidenziano, altresì, come nel giudizio avente ad oggetto la prestazione assistenziale … opera il principio, sancito dall’art. 147 disp. att. c.p.c., secondo cui “sono privi di qualsiasi efficacia vincolante, sostanziale e processuale, … le collegiali mediche, quale ne sia la loro natura”, sicché in quella sede, nella quale non è precluso all’amministrazione contestare anche la sussistenza del nesso causale, seppure affermato dalla commissione medica, il giudice è tenuto ad accertare tutti gli elementi costitutivi della prestazione della quale si discute (cfr. Cass. 6 aprile 2021 n. 9235, Cass. 30 marzo 2006 n. 7548, Cass. 22 maggio 2006 n. 11908 in tema di invalidità civile e Cass. 27 novembre 2017 n. 28262 pronunciata in fattispecie nella quale veniva in rilievo l’indennizzo emotrasfusionale).

Un principio che ha trovato avallo nelle pronunce di queste Sezioni Unite che, sia pure in sede di regolamento di giurisdizione e con riferimento alle attività accertative poste in essere da Commissioni mediche diverse da quella che qui viene in rilievo, hanno ripetutamente affermato che il giudizio formulato dalle commissioni mediche all’esito degli accertamenti disposti è espressione di discrezionalità tecnica, non amministrativa, e, pertanto, va esclusa la natura provvedimentale dell’atto adottato, che è meramente strumentale e si inserisce nel procedimento in ragione della funzione di “certazione” attribuita dal legislatore alle commissioni medesime (Cass. S.U. 23 ottobre 2014 n. 22550; Cass. S.U. 22 novembre 2006 n. 24862; Cass. S.U. 11 dicembre 2003 n. 18960 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione).

Ne consegue che il verbale della C.M.O. non ha valore di prova legale … persino nel giudizio nel quale si discute della prestazione assistenziale, in relazione alla quale il procedimento amministrativo viene avviato e svolto.

Le Sezioni Unite evidenziano, ulteriormente, che l’affermazione enunciata da Cass. n. 15734/2018, secondo cui “l’accertamento della riconducibilità del contagio ad un’emotrasfusione compiuto dalla Commissione….non può essere messo in discussione dal Ministero…ed il giudice deve ritenere detto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova…” nella sostanza … finisce per ravvisare una confessione nell’accertamento del nesso causale contenuto nel parere tecnico. Il principio non può essere condiviso, oltre che per quanto si è illustrato nei punti che precedono, per l’assorbente ragione che il nesso causale non è un fatto obiettivo, ma una relazione che lega un’azione o un’omissione ad una data conseguenza, che non si sarebbe verificata ove la condotta non fosse stata tenuta o l’azione doverosa non fosse stata omessa.

Invero, la confessione non può avere ad oggetto giudizi, opinioni o assunzioni di responsabilità, e riguarda solo “fatti”, la cui qualificazione giuridica è comunque riservata al giudice. … E’ da escludere, pertanto, che possa essere oggetto di confessione l’affermazione del nesso causale fra l’emotrasfusione ed il contagio, sia nell’ipotesi in cui detto accertamento sia contenuto nel solo verbale della Commissione medica (come accade nei casi di rigetto della domanda amministrativa per ragioni diverse dall’insussistenza della necessaria causalità), sia qualora il procedimento si concluda con il riconoscimento dell’indennizzo in favore del richiedente, atteso che anche quel provvedimento è espressione di discrezionalità tecnica e presuppone, non una dichiarazione di scienza, bensì una valutazione sulla sussistenza dei requisiti richiesti ai fini dell’accesso alla prestazione assistenziale.

Peraltro questo non significa che nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della Salute per il risarcimento del danno derivato dall’emotrasfusione l’accertamento effettuato in sede amministrativa del nesso causale fra quest’ultima e l’insorgenza della patologia non possa essere utilizzato ai fini della prova del nesso medesimo, che deve essere offerta dalla parte che agisce in giudizio. Il diritto all’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 e quello al risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., che l’ordinamento riconosce come concorrenti, presuppongono entrambi un medesimo fatto lesivo, ossia l’insorgenza della patologia, derivato dalla medesima attività (cfr. in motivazione Cass. S.U. 11 gennaio 2008 n. 584), e l’azione di danno si differenzia da quella finalizzata al riconoscimento della prestazione assistenziale essenzialmente perché richiede anche che l’attività trasfusionale o la produzione di emoderivati siano state compiute senza l’adozione di tutte le cautele ed i controlli esigibili a tutela della salute pubblica. Si è in presenza, quindi, di diritti e di azioni che presentano elementi costitutivi comuni.

Premesso questo, le Sezioni Unite riconoscono valenza probatoria al provvedimento che, sulla base dell’istruttoria svolta e del parere tecnico acquisito, disponga la liquidazione dell’indennizzo in favore del richiedente, sul presupposto dell’avvenuto accertamento in sede amministrativa dei requisiti tutti che integrano gli elementi costitutivi del diritto alla prestazione assistenziale, elementi tra i quali rientra … il nesso causale che lega emotrasfusione e patologia indennizzata. Pertanto, l’atto con il quale l’amministrazione si riconosce debitrice della provvidenza assistenziale presuppone la valutazione positiva della derivazione eziologica, valutazione che se da un lato, in quanto tale, non può integrare una confessione, dall’altro costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale.

Ne consegue che qualora il danneggiato produca in giudizio il provvedimento di liquidazione dell’indennizzo e/o dell’assegno una tantum o riversibile ex art. 2, comma 3 della legge 210/1992 il Ministero della Salute, nel costituirsi in giudizio, non potrà limitarsi alla generica contestazione del nesso causale ed all’altrettanto generica invocazione della regola di riparto dell’onere probatorio fissata dall’art. 2697 c.c., poiché la presunzione “forte” che dal riconoscimento amministrativo discende, seppure semplice e non legale, richiede, per essere superata, che vengano allegati specifici elementi fattuali non potuti apprezzare in sede di liquidazione dell’indennizzo o sopravvenute acquisizioni della scienza medica, idonei a privare la prova presuntiva offerta dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che la caratterizzano.

Tutto questo, peraltro, non realizza alcuna inversione dell’onere della prova, che resta a carico del danneggiato, perché la regola di giudizio qui enunciata attiene alla idoneità dell’elemento presuntivo a consentire inferenze che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, idoneità che va ritenuta, salva l’allegazione di contrari elementi specifici e concreti che rendano il primo inattendibile, sì da impedire che sullo stesso possa essere fondato il giudizio di inferenza probabilistica.

Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari