Indennizzo e risarcimento: i principi consolidati in Cassazione




 

Nel corso dell’anno 2013 la Corte di cassazione ha depositato una serie di sentenze, nelle quali ha ribadito e/o evidenziato alcuni elementi, che possono considerarsi ormai consolidati in tema di indennizzo ai sensi della legge 210/92, così come di risarcimento del danno da trasfusione o somministrazione di sangue infetto.

Per quanto concerne l’indennizzo, la Suprema Corte ha innanzi tutto ribadito che la relativa domanda, se proposta dopo il 28 luglio 1997, deve essere presentata, a pena di decadenza, entro tre anni dalla conoscenza del danno.

In particolare, con sentenza n. 6066/13 la Cassazione ha affermato che il testo originario della l. 210/92 non prevedeva alcun termine per la presentazione della domanda di indennizzo, in caso di epatite post-trasfusionale.

L’art. 1, comma 9, della legge 238 del 1997 ha invece novellato l’art. 3 della l. 210/92, imponendo di proporre la domanda “entro il termine perentorio di tre anni nel caso di … epatiti post trasfusionali”, a decorrere dal giorno in cui l’avente diritto ha avuto conoscenza del danno.

Una modifica che secondo la Suprema Corte ha effetto dal 28 luglio 1997, data di entrata in vigore della l. 238/97, “dovendosi ritenere, in conformità ai principi generali dell’ordinamento in materia di termini, che, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applichi anche ai diritti sorti anteriormente, ma con decorrenza dall’entrata in vigore della modifica legislativa”.

Peraltro, con sentenza n. 19811/13 la Cassazione ha evidenziato che il termine qui esaminato può iniziare a decorrere solo da quando “il soggetto contagiato abbia avuto conoscenza di essere portatore di una infermità classificabile in una delle otto categorie della tabella A … allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834”.

Infatti, secondo una tesi ormai consolidata l’indennizzo può essere riconosciuto solo se l’infermità contratta a seguito delle trasfusioni può essere ascritta a una delle otto categorie previste dalla tabella citata.

Pertanto, premesso che “ben può esservi un danno permanente che risulti essere al di sotto dell’ottava categoria; l’ipotesi tipica è quella della malattia silente o asintomatica”, e rilevato che “nel sistema dell’indennizzo … di cui alla L. n. 210 del 1992 … c’è una soglia di danno permanente minimo, al di sotto della quale” il predetto beneficio non viene riconosciuto, ne consegue che “il termine di decadenza … di cui all’art. 3, comma 1 … comincia da decorrere dal momento della consapevolezza, da parte di chi chiede l’indennizzo, del superamento della soglia” citata.

In merito invece al risarcimento del danno da epatite post-trasfusionale, la Suprema Corte ha ribadito che la prescrizione del relativo diritto è, nei confronti del Ministero della salute, quinquennale, con decorrenza, al massimo, dalla data in cui il danneggiato ha domandato l’indennizzo ex lege 210/92.

Invero, con sentenza n. 19965/13 la Cassazione ha evidenziato è ormai orientamento consolidato che “la responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è … di natura extracontrattuale, né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime)”.

Il relativo diritto al risarcimento è pertanto “soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre … non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, a tal fine coincidente di norma non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 4, bensì al più tardi con la proposizione della relativa domanda amministrativa”, infatti “non oltre tale momento è raggiunto un apprezzabile grado di consapevolezza non solo della malattia, ma anche del nesso causale tra essa e l’emotrasfusione”.

Inoltre, una “eventuale ulteriore indagine, volta a personalizzare il detto momento”, tenuto conto di tutti gli elementi del caso concreto, “non può che avere esiti più sfavorevoli per il leso, cioè quelli di anticiparlo ulteriormente, mai di spostarlo ulteriormente in avanti” rispetto al giorno di presentazione della domanda di indennizzo, barriera ultima, a partire dalla quale la prescrizione inizierà comunque a decorrere.

Infine, e sempre in tema di risarcimento del danno, con sentenza n. 19995/13 la Cassazione ha evidenziato che tale pretesa può essere azionata anche da coloro che siano stati contagiati prima del 1978.

Innanzi tutto, “come anche le Sezioni Unite … hanno avuto modo di affermare, il Ministero della salute è tenuto ad esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine … alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati”, attività impostagli da una pluralità di fonti normative, inclusa la legge 592 del 1967, la quale:

– all’art. 1 “attribuisce al Ministero le direttive tecniche per l’organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi inerenti la raccolta, la preparazione, la conservazione, la distribuzione del sangue umano per uso trasfusionale, nonché la preparazione dei suoi derivati, e per l’esercizio della relativa vigilanza”;

– all’art. 20 attribuisce al Ministero il compito di proporre l’emanazione di norme relative all’organizzazione, al funzionamento dei servizi trasfusionali, alla raccolta, alla conservazione e all’impiego dei derivati, alla determinazione dei requisiti e dei controlli cui debbono essere sottoposti”;

– all’art. 21 “attribuisce al Ministero il compito di autorizzare l’importazione e l’esportazione di sangue umano e dei suoi derivati per uso terapeutico”.

A questo si aggiunga, “e d’altro canto la giurisprudenza – anche di merito – da tempo ne ha dato diffusamente conto, come fosse già ben noto sin dalla fine degli anni 60 – inizi anni 70 il rischio di trasmissione di epatite virale”, non a caso in tali anni erano in vigore “obblighi normativi (L. n. 592 del 1967; D.P.R. n. 1256 del 1971; L. n. 519 dei 1973) in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto. Sin dalla metà degli anni 60 erano infatti esclusi dalla possibilità di donare il sangue coloro i cui valori delle transaminasi e delle GPT – indicatori della funzionalità epatica – fossero alterati rispetto ai limiti prescritti”.

In virtù di queste premesse, la Corte conclude che il Ministero della salute è tenuto “ad un comportamento attivo di vigilanza, sicurezza ed attivo controllo in ordine all’effettiva attuazione, da parte delle strutture sanitarie addette al servizio di emotrasfusione, di quanto ad esse prescritto al fine di prevenire ed impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto (cfr. Cass., 28/9/2009, n. 20765, e, da ultimo, Cass., 23/5/2011, n. 11301), non potendo invero considerarsi esaustiva delle incombenze alla medesima in materia attribuite la quand’anche assolta mera attività di normazione (emanazione di decreti, circolari, ecc.)”, con la conseguenza che la responsabilità della predetta Amministrazione “può agevolmente ricavarsi nell’omissione, da parte del Ministero, dei controlli, consentiti dalle conoscenze mediche e dei più datati parametri scientifici del tempo, sull’idoneità del sangue ad essere oggetto di trasfusione (tra le altre e specificamente: Cass. 14 luglio 2011, n. 15453), in epoca anche anteriore alla più risalente delle scoperte dei mezzi di prevenibilità delle relative infezioni, individuabile nel 1978”.

 

Alberto Cappellaro