10 anni per chiedere l’indennizzo se la trasfusione è anteriore al 28 luglio 1997


 

Con ordinanza n. 17268 del 23 luglio 2010 (trasmessami dal Collega Luigi Delucchi, che ringrazio) la Suprema Corte ha nuovamente affrontato il problema dell’interpretazione dell’art. 3 comma 1 della legge 210/92, come modificato dall’art. 1 comma 9 della legge 25 luglio 1997 n. 238, entrata in vigore il 28 luglio 1997, giorno di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 174.

Come è noto l’art. 3 comma 1 della legge 210/92 impone a chi sia stato contagiato da epatite C post-trasfusionale di domandare l’indennizzo “entro il termine perentorio di tre anni” decorrente “dal momento in cui …  l’avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno“.

Tale norma è stata però introdotta nella legge 210 solo il 28 luglio 1997, data di entrata in vigore della legge 238/97.

Poichè a norma dell’art. 11 delle preleggi “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto reatroattivo“, la Corte, richiamando la propria ordinanza n. 6923 del 22 marzo 2010, ribadisce che il termine previsto dalla normativa ora vigente non si applica alle epatiti contratte prima dell’entrata in vigore della legge 238/97: questo perché “il diritto all’indennizzo per l’epatite derivante da trasfusione era già entrato nel patrimonio del danneggiato” prima della modifica legislativa e rimane quindi “soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale“.

Ne consegue che tutti coloro che hanno contratto la malattia a seguito di trasfusioni eseguite prima del 28 luglio 1997 possono domandare l’indennizzo entro dieci anni dalla conoscenza del danno.

In merito alla decorrenza di tale termine, con sentenze n. 8064 e 8065 dell’1 aprile 2010 le Sezioni Unite hanno stabilito innanzi tutto che l’epatite è ascrivibile ad una delle otto categorie previste dalla tabella A allegata al D.P.R. 834/1981 solo quando supera una soglia minima di indennizzabilità: soglia che presuppone la diagnosi di un’epatite cronica; non è invece sufficiente la mera presenza di una positività agli anticorpi del virus C (e quindi un esame di laboratorio che diagnostichi un HCV+).

Ne consegue che “il termine … di cui all’art. 3, comma 1, si sposta in avanti nel senso che comincia a decorrere dal momento della consapevolezza, da parte di chi chiede l’indennizzo, del superamento della soglia”: in altre parole, il termine per presentare la domanda decorre non dal primo accertamento della positività agli anticorpi, ma dalla prima diagnosi della malattia.

Alberto Cappellaro