Revoca del testamento ex art. 687 codice civile nel caso di filiazione accertata con sentenza


  1. Presupposti di applicabilità dell’istituto

L’art. 687 del codice civile disciplina una ipotesi di revoca di diritto del testamento.

La revoca concerne tanto le disposizioni a titolo universale quanto quelle a titolo particolare ed esplica i propri effetti al verificarsi di due presupposti, ovvero:

– assenza di figli al tempo del testamento;

– posteriore sopravvenienza, riconoscimento o esistenza di un figlio ignoto.

Pertanto, al tempo della redazione della scheda il testatore non deve avere figli o discendenti, ovvero deve ignorare di averne.

La revoca è pertanto preclusa quando “alla data di confezione del testamento esistevano già altri figli”, la cui esistenza era nota al testatore, “e la revocazione sia invocata per la sopravvenienza di ulteriori discendenti”: la modifica della situazione familiare che giustifica l’inefficacia del testamento deve infatti “essere tale da creare un quadro oggettivo radicalmente mutato rispetto a quello presentatosi al testatore alla data di redazione del testamento e che appaia quindi connotato dalla sopravvenienza di figli, di cui si ignorava l’esistenza” (così Cass. n. 18893/2017).

Questa conclusione trova conforto nella lettera della art. 687 c.c., norma eccezionale e quindi insuscettibile di interpretazione analogica, in quanto “prevede una ipotesi di inefficacia (latu sensu intesa) sopravvenuta di un negozio giuridico” (Cass. n. 1935/1996; nello stesso senso Cass. n. 18893/2018).

Occorre altresì aggiungere che una conclusione contraria creerebbe un conflitto con la disciplina sulla successione necessaria, che verrebbe ad essere disapplicata in conseguenza della revoca del testamento: questo nonostante la normativa sulla successione necessaria sia pacificamente imperativa, mentre quella che regola l’istituto qui esaminato sia dispositiva, il terzo comma dell’art. 687 c.c. consente infatti al testatore “di manifestare una volontà contraria alla c.d. revoca de iure e di porre così nel nulla la disciplina legale” (Gazzoni, Una sentenza con “motivazione suicida” da inumare (figlio naturale dichiarato, cadavere esumato e testamento revocato, in Dir. fam. 2008, 1835, par. 7).

All’esistenza di un figlio pare equiparabile il riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio contenuto nel testamento che si vorrebbe revocare.

Correlativamente è invece irrilevante, e non impedisce la revoca, l’esistenza di figli biologici non riconosciuti: la norma qui esaminata, con il termine figli, fa riferimento solo a “quelli che siano stati volontariamente riconosciuti dal genitore o giudizialmente dichiarati: di conseguenza … non può assumere rilievo la sopravvenienza o la scoperta dell’esistenza di una filiazione in senso meramente naturalistico e non giuridico” (Albanese, Della revocazione delle disposizioni testamentarie, in Commentario Scialoja – Branca, Bologna, 2015, 138; nello stesso senso v. Cass. n. 169/2018 e Cass. n. 13680/2019 che confermano come la revoca non operi qualora vi siano altri figli biologici, non contemplati nel testamento e che il genitore non ha riconosciuto per scelta).

Il testamento viene revocato inoltre se si verifica una delle seguenti tre ipotesi:

– esistenza o sopravvenienza di un figlio o discendente del testatore, anche se postumo o adottivo;

– riconoscimento, da parte del testatore, di un figlio nato fuori dal matrimonio;

– esistenza di un figlio concepito al tempo del testamento.

 

  1. Effetti della revoca

Qualora sussistano entrambi i presupposti sopra indicati la revocasi produce automaticamente … nei confronti di tutte le disposizioni a titolo universale o a titolo particolare contenute nel testamento”. La revoca è quindi sempre una “revoca totale, ossia riguarda l’intero contenuto del testamento, non potendo, a differenza delle altre ipotesi di revoca, essere parziale: essa, cioè, non può avere ad oggetto solo talune disposizioni” del negozio mortis causa, con l’esclusione però, “come per le altre forme di revoca c.d. volontaria”, delle “disposizioni a carattere non patrimoniale, quali ad esempio il riconoscimento del figlio naturale” (Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2015, 1001).

  1. Fondamento dell’istituto

Secondo la tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza la ratio della norma è quella di tutelare la posizione dei figli e dei discendenti: la revoca viene pertanto giustificata con la sopravvenutamodificazione della situazione familiare in relazione alla quale il testatore aveva disposto dei suoi beni”, intesa come esigenza di “assicurare la tutela del figlio sopravvenuto in conseguenza” della predetta modificazione, “configurandosi l’istituto de quo quale mezzo di tutela ulteriore e non alternativo rispetto a quello approntato dalle norme a tutela dei legittimari”: in altri termini, l’art. 687 c.c. introduce “una più intensa ed efficace tutela dei figli e dei discendenti del de cuius (tutela che, come conferma la disciplina della successione necessaria consente anche di rendere priva di efficacia la contraria volontà del de cuius), tutela destinata a recedere nel solo caso in cui emerga una espressa volontà di mantenere ferme le disposizioni testamentarie ovvero laddove il testatore abbia diversamente provveduto” ai sensi del terzo comma della norma qui esaminata (in questo senso in giurisprudenza, da ultimo, Cass. n. 169/2018; il principio è stato ribadito da Cass. n. 13680/2019).

Secondo una diversa e minoritaria opinione il fondamento della revoca risiede invece nel rispetto della volontà presunta del testatore il quale, se avesse saputo dell’esistenza dei figli o discendenti, non avrebbe redatto quel testamento o, quanto meno, non lo avrebbe stilato con il medesimo contenuto (v. per tutti Gazzoni, op. cit., ibidem).

Secondo una ultima opinione la norma qui esaminata “è certamente ispirata alla presunta volontà del testatore … ma ha altresì lo scopo di tutelare gli interessi della famiglia” (Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 998).

  1. Esclusione della revoca per disposizione del testatore

Il terzo comma della disposizione qui esaminata stabilisce che “la revocazione non ha invece luogo qualora il testatore abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi”.

Il termine provveduto potrebbe far pensare che la revoca non operi solo quando il de cuius abbia attribuito beni in favore dei figli ignorati o sopravvenuti. In realtà l’opinione dominante ritiene sufficiente che il testatore abbia inserito nel testamento una previsione, anche generica ma univoca, con la quale “si rende esplicito che quei lasciti debbano valere anche se sopravvenissero figli”, bastando quindi che egli avesse previsto la possibile “sopravvenienza di figli, ugualmente escludendoli dal testamento” (Albanese, Della revocazione delle disposizioni testamentarie, cit., 151). Analoga opinione viene espressa dalla giurisprudenza, si veda ad esempio Cass. n. 18893/2018, che conferma come “l’espressione ‘provvedere’ abbia in realtà un significato vicino a quello di ‘prevedere’, sicché non si ritiene necessario che il testatore abbia fatto attribuzioni patrimoniali al figlio o al discendente e non esige quindi che vi siano delle specifiche attribuzioni in favore dei figli sopravvenuti, ma che emerga la volontà del testatore di tenere conto anche dell’ipotesi de qua”.

  1. Riconoscimento ed equiparazione con l’accertamento giudiziale di paternità o maternità

L’art. 687 comma 1 dispone che il testamento viene revocato nell’ipotesi di “riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio”, riconoscimento che deve quindi essere volontario e successivo al negozio da revocare.

Ci si è chiesti se analogo effetto debba riconoscersi al riconoscimento di un figlio conseguente all’accoglimento di una domanda giudiziale di accertamento di paternità o maternità, considerato che secondo l’art. 277 del codice civile “la sentenza che dichiara la filiazione produce gli effetti del riconoscimento”, con decorrenza dalla nascita del figlio riconosciuto.

Come ha correttamente rilevato Cass. n. 1935/96, che per la prima volta ha affrontato la questione in sede di legittimità, “è indubitabile che l’interpretazione della espressione ‘riconoscimento di un figlio naturale’, di cui all’art. 687, primo comma, cod. civ. non può essere dilatata fino a ricomprendervi la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, per cui la revoca del testamento a seguito del verificarsi di tale evento non può essere ricollegata ad un applicazione diretta della norma in questione”.

La pronuncia citata aggiunge, altrettanto condivisibilmente, che “ad impedire una interpretazione analogica dell’art. 687, primo comma, cod. civ., poi, è sufficiente la natura eccezionale di tale norma, in quanto prevede una ipotesi di inefficacia (lato sensu intesa) sopravvenuta di un negozio giuridico”.

Non rimane quindi che da verificare, come rileva la Suprema Corte, sela revoca del testamento possa essere ricollegata all’art. 277, primo comma, cod. civ., la quale stabilisce che la sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti di un riconoscimento”.

Secondo una prima tesi è possibile equiparare dichiarazione giudiziale di filiazione e riconoscimento volontario del testatore “soltanto nell’ipotesi in cui detta dichiarazione intervenga (ovvero la domanda sia introdotta) prima della morte del de cuius, lasciando così intatta la facoltà di questi di disporre per testamento secondo la propria volontà”, solo in tal caso infatti il genitore può “sostituire il testamento revocato di diritto con altro conforme al proprio volere” (così Appello Roma 18/09/2013, in Nuova giur. civ. comm. 2014, parte prima, 250, con nota di Bilotti, Accertamento giudiziale della filiazione extramatrimoniale e inefficacia del testamento per sopravvenienza di figli e discendenti). Per i giudici romani “porre sullo stesso piano il riconoscimento e la dichiarazione giudiziale … indipendentemente dal momento in cui essa interviene” costituirebbe infatti un inaccettabile sovvertimento del “principio ordinatore dell’intera disciplina testamentaria”, ovvero della centralità della volontà del testatore.

Una diversa opinione, pur partendo dalla considerazione che “il figlio riconosciuto consegue la posizione di figlio naturale per volontà del padre-de cuius, mentre quello dichiarato la consegue contro la volontà di costui”,  distingue “a seconda che la sentenza dichiarativa del figlio naturale passi in giudicato prima o dopo la morte del padre-de cuius”, riconoscendo l’equiparazione tra pronuncia e riconoscimento unicamente nella prima ipotesi in quanto solo “in quel caso il de cuius può confezionare un nuovo testamento”. Questo autore esclude invece l’equiparazione “quando la domanda giudiziale ex art. 270 c.c. è notificata prima dell’apertura della successione del preteso padre”, tenuto conto che l’art. 687 non si applica in presenza di un rapporto di filiazione puramente naturalistico (Gazzoni, op.cit., ibidem).

La Suprema Corte, preso atto che “l’art. 687, primo comma. cod. civ. ha un fondamento oggettivo, individuabile nella modificazione della situazione familiare in relazione alla quale il testatore aveva disposto dei suoi beni”, ha sino ad ora costantemente affermato “poiché tale modificazione sussiste sia quando il testatore abbia riconosciuto un figlio naturale, sia quando nei suoi confronti sia stata esperita vittoriosamente l’azione di accertamento di filiazione naturale, dal combinato disposto dell’art. 277, primo comma, e 687, primo comma, cod. civ. deriva che la revoca del testamento è ricollegabile anche al secondo di tali eventi” (così Cass. n. 1935/96; nello stesso senso Cass. n. 169/18).

Nella pronuncia da ultimo citata la Cassazione ha altresì precisato che “la più volte ribadita equiparazione della condizione del figlio, la cui paternità sia frutto dell’accertamento giudiziale a quella degli altri figli, impone quindi di estendere tale previsione anche all’ipotesi in cui il genitore, all’epoca di redazione del testamento, fosse cosciente dell’esistenza del figlio, che solo in epoca successiva al decesso abbia però introdotto la domanda di accertamento giudiziale”. La Corte ricorda, a questo proposito, che “la sola conoscenza del rapporto di filiazione, in assenza dell’acquisizione dello stato giuridico di figlio, come sopra delineato, non preclude la revocazione”: nel caso di specie infatti, come si è già evidenziato, “ai fini della caducazione del testamento è … irrilevante la conoscenza dell’esistenza di figli biologici, che il testatore non ha riconosciuto per scelta”. A questa considerazione la Cassazione aggiunge una ulteriore osservazione, ovvero che “non deve trascurarsi quanto specificamente disposto dall’art. 687 c.c., comma 2, che prevede che la revocazione abbia luogo anche se il figlio è stato concepito al momento del testamento. La norma che fa evidentemente riferimento al caso di figlio postumo, va riferita anche all’ipotesi in cui il testatore fosse consapevole, nel momento in cui testava, dell’avvenuto concepimento, apparendo condivisibile l’opinione dottrinale secondo cui, a voler diversamente opinare la norma dovrebbe essere altrimenti classificata come superflua, in quanto il caso in cui il testatore, nel momento in cui testava, non fosse consapevole dell’avvenuto concepimento, ben può essere infatti compreso già nell’ambito di riferimento della previsione generale che ha riguardo alla ignoranza, al tempo del testamento, dell’esistenza di figli”.

Il principio è stato ribadito dalla recentissima sentenza n. 13680/2019, nella quale la Suprema Corte osserva che la modifica della situazione familiare che giustifica la revocazione del testamento sussiste “non solo quando il testatore riconosca un figlio ma anche quando venga esperita nei suoi confronti vittoriosamente l’azione di accertamento della filiazione, il testamento è revocato anche nel caso in cui si verifichi il secondo di tali eventi in virtù del combinato disposto dell’art. 277 c.c., comma 1, e art. 687 c.c., senza che abbia alcun rilievo che la dichiarazione giudiziale di paternità o la proposizione della relativa azione intervengano dopo la morte del de cuius, nè che quest’ultimo, quando era in vita, non abbia voluto riconoscere il figlio, pur essendo a conoscenza della sua esistenza”.

 

Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari

 

Il presente articolo è stato pubblicato su La Previdenza.it e su Milanofinanza.it