Risarcimento: la Cassazione conferma la condanna del Ministero della salute per una trasfusione del 1968, senza necessità di rimettere la questione alle Sezioni Unite, non rilevando contrasti con il principio cardine dell’unicità dell’evento lesivo


Con sentenza n. 2337/2018, depositata oggi 31 gennaio 2018, la Corte di Cassazione, in una controversia patrocinata dai sottoscritti legali Sabrina Cestari e Alberto Cappellaro, ha confermato la sentenza n. 1507/2015 con la quale la Corte di appello di Milano aveva rigettato l’impugnazione della pronuncia n. 5801/2012 del Tribunale di Milano, condannando il Ministero della salute a risarcire tre contagiati a seguito di trasfusioni infette subite, rispettivamente, nel 1968, nel 1983 e nel 1985/86, liquidando importi, in linea capitale, pari a un milione e 290 mila euro.

I giudici di legittimità hanno evidenziato che vi sono stati orientamenti contrastanti circa l’individuazione della “data di conoscenza dell’epatite B”, data a decorrere dalla quale, secondo quanto statuito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 581/2008, “sussiste la responsabilità del Ministero della salute” per contagi da sangue infetto.

Secondo la Cassazione “l’orientamento prevalente ha ritenuto che la data di conoscenza del rischio di contagio dell’epatite B era risalente ad epoca precedente all’anno 1978”, indirizzo che ha trovato conferma nella pronuncia n. 17084/2017 della Suprema Corte, nella quale si afferma che “in caso di patologie contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, il rapporto eziologico tra la somministrazione del sangue infetto in ambiente sanitario e la specifica patologia insorta viene apprezzato sulla base delle cognizioni scientifiche acquisite al tempo della valutazione, le quali hanno consentito di identificare e nominare le malattie tipiche (HBV, HIV e HCV), ma ciò che rileva ai fini del giudizio sul nesso causale è l’evento obiettivo della trasfusione, a prescindere dalla specificazione della prima in termini di malattia tipica”.

La pronuncia qui commentata ha sottolineato come “tale approdoriporta l’indagine sul nesso causale interamente entro i confini oggettivi suoi propri (e in base alle conoscenze scientifiche presenti al momento del relativo accertamento), depurandolo dal criterio della prevedibilità, operante piuttosto sul piano soggettivistico della colpa dell’agente”.

Il Collegio ha altresì concluso per la non necessità di rimettere la questione alle Sezioni Unite, “giacché … non è dato appezzare alcun contrasto con il principio cardine enunciato dalle Sezioni Unite nel 2008 (ossia quello dell’unicità dell’evento lesivo”)”.

In definitiva, come ha correttamente osservato la Corte, “la efficienza causale dell’omissione da parte dell’autorità amministrativa è suscettibile di imputazione giuridica (art. 40, secondo comma, cod. pen.) per gli obblighi di vigilanza e controllo sul sangue umano cui la medesima autorità era tenuta in forza di una normativa anche essa assai risalente nel tempo: legge n. 296 del 1958, legge n. 592 del 1967 e d.P.R. n. 1256 del 1971”.

Secondo la Cassazione conseguentemente, nel caso di specie, deve trovare conferma la pronuncia di appello, anche nella parte in cui condanna il Ministero della salute “per una somministrazione di sangue infetto avvenuta nel 1968”.

 

Alberto Cappellaro e Sabrina Cestari