Risarcimento: spetta al nonno per la morte del nipote?


 

 

I familiari di una persona deceduta in conseguenza del comportamento illecito di un terzo devono essere risarciti per il danno subito.

Nessun dubbio che tra essi siano inclusi gli eredi legittimi della vittima (coniuge, genitori, figli e fratelli), controversa invece è la legittimazione dei nonni, qualora sia morto un loro nipote: legittimazione esclusa dalla Suprema Corte con sentenza n. 4253 del 16 marzo 2012, pubblicata in Foro it. 2012, I, 2394 ss..

Secondo la Cassazione la preoccupazione principale che dovrebbe guidare il giudice nell’individuazione dei legittimati dovrebbe essere quella di “evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati”.

Data questa premessa, già in sé censurabile, la Corte aggiunge che “dai precetti costituzionali dedicati alla famiglia (art. 29, 30 e 31 Cost.)” emergerebbe “una famiglia (anche di fatto) nucleare, incentrata su coniuge, genitori e figli, rispetto alla quale soltanto è delineata la trama dei diritti e doveri reciproci”.

Secondo la Cassazione, inoltre, “le disposizioni civilistiche che, specificatamente, concernono i nonni, non sono tali da poter fondare un rapporto diretto, giuridicamente rilevante, tra nonni e nipoti, ma piuttosto individuano un rapporto mediato dai genitori-figli o di supplenza dei figli”.

Osserva ulteriormente la Corte che, tenuto conto che il danno è risarcibile solo quando “l’uccisione del congiunto … colpisce soggetti legati da un vincolo parentale stretto, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare nucleare”, tale danno può configurarsi solo qualora vittima e danneggiato convivessero nella stessa comunità familiare, intesa “come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno”.

Affinché possa ritenersi leso il rapporto parentale dei soggetti estranei a tale nucleo, quali ad esempio “nonni, nipoti, genero, nuora”, infatti,  sarebbe “necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, anche allargati”.

In conclusione, secondo i magistrati che hanno redatto la pronuncia qui esaminata, il nonno ha diritto al risarcimento per la morte del nipote solo se:

a) conviveva con il nipote;

b) ne era il tutore;

c) non conviveva, ma il nipote era senza genitori.

Solo in queste ipotesi, infatti, emergerebbe quel “rapporto diretto” che giustificherebbe il diritto al risarcimento.

Questa interpretazione è censurabile sotto plurimi profili.

La Cassazione pare innanzi tutto fare leva su una lettura della Costituzione e delle norme civilistiche del tutto disancorata dalla realtà, essendo infatti i nonni, frequentemente, dei veri e propri sostituti dei genitori.

Ma, soprattutto, non è condivisibile che la lesione del vincolo parentale sussista solo se i due congiunti convivevano: tesi che subordina la risarcibilità del diritto all’intangibilità degli affetti reciproci, costituzionalmente tutelato, ad un requisito meramente formale come la convivenza, invece di dare rilievo ai rapporti effettivamente in essere tra le parti.

Ed è proprio quest’ultimo, a mio giudizio, il profilo maggiormente criticabile della sentenza qui esaminata.

L’avvocato del danneggiato, infatti, aveva articolato prove, anche testimoniali, al fine di dimostrare lo stretto rapporto esistente tra nonno e nipote: istanze ritenute non ammissibili dalla Corte, dovendosi escludere, nel caso di mancata convivenza, “la possibilità di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà”.

Non sorprende che la Suprema Corte abbia adottato, in casi analoghi, pronunce di segno diametralmente opposto.

Tra queste merita di essere segnalata la sentenza 15019/05, nella quale si rileva, correttamente, come il fondamento del danno sia la perdita dei legami di affetto e solidarietà, legami che possono sussistere anche tra parenti non conviventi.

Del resto il valore tutelato è la personalità del danneggiato, ed essa può esplicarsi anche in ambiti diversi dalla famiglia nucleare.

Infine, pare poco compatibile con la Costituzione escludere certe posizioni dalla sfera risarcitoria sulla base di un mero dato fattuale, senza dare al danneggiato la possibilità di provare quali fossero i suoi reali vincoli affettivi con il congiunto deceduto.

Una lettura, a prima vista, difficilmente compatibile anche con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e con la Carta europea dei diritti e delle libertà fondamentali.

 

 

Alberto Cappellaro