Indennizzo: necessaria anche la consapevolezza della causa del contagio


 

L’art. 3 comma 1 della legge 210/92  stabilisce che il termine per la presentazione delle domande di indennizzo decorre “dal momento in cui … l’avente diritto risulti avere avuto conoscenza del danno“.

A mio giudizio nel concetto di “conoscenza del danno” rientra tanto la consapevolezza del nesso causale tra trasfusioni e malattia quanto quella dell’irreversibilità della patologia, che deve anche avere raggiunto quella soglia che la renda ascrivibile ad una delle otto categorie previste dalla tabella A allegata al DPR 834/1981.

Per quanto concerne in particolare il nesso causale, non è quindi sufficiente che il danneggiato sappia di aver contratto la malattia, ma è anche indispensabile che sia consapevole di averla contratta a causa di un determinato trattamento trasfusionale.

Sarebbe infatti irragionevole (e quindi incostituzionale) far decorrere il termine per la presentazione della domanda senza che il danneggiato abbia consapevolezza di tutti i requisiti cui la legge subordina la concessione dell’indennizzo (inclusa, quindi, quella dell’origine trasfusionale della malattia): il danneggiato deve sapere non solo di avere l’epatite ma che l’ha presa a causa di una trasfusione.

Questa interpretazione mi pare tra l’altro conforme a quella ormai consolidata in materia di danni lungolatenti (e cioè di danni che si manifestano molti anni dopo l’evento lesivo), con riferimento ai quali la prescrizione del diritto al risarcimento decorre da quando il danneggiato ha consapevolezza non solo del danno ma anche della sua causa (v. per tutte, con riferimento alle epatiti post-trasfusionali, Cass. sez. un. 581/08).

Questa interpretazione, infine, trova conferma anche nell’ordinanza n. 7304 del 30 marzo 2011, dove la sezione lavoro della Corte di cassazione afferma che l’art. 3 comma 1 della legge 210/92 deve interpretarsi nel senso che  il termine ivi previsto decorre solo quando il danneggiato abbia “conoscenza del danno (con riferimento anche alla sua eziologia)

Alberto Cappellaro