Epatite non attiva: la Cassazione nega l’indennizzo


a) le norme

La legge 210/92 (in seguito: la Legge) attribuisce un indennizzo a coloro che hanno riportato danni irreversibili a causa di determinati trattamenti sanitari, tra i quali le trasfusioni di sangue.

L’importo di tale indennizzo viene determinato sulla base della tabella B allegata alla legge 29/4/76 n. 177, come modificata dalla legge 2/5/84 n. 111, previa iscrizione del danno irreversibile ad una delle otto categorie previste dalla tabella A allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981 n. 834.

Tabella che peraltro non contempla tutti i possibili danni irreversibili, essendone escluse le menomazioni che non comportano una diminuzione della capacità lavorativa generica (e cioè della capacità del danneggiato di produrre reddito).

b) la posizione ministeriale

Dando decisivo rilievo a quest’ultima circostanza, il Ministero della salute (oggi del lavoro, della salute e delle politiche sociali) ritiene non ascrivibile, e quindi non indennizzabile, l’epatite c.d. “silente” e cioè quella caratterizzata da positività agli anticorpi (e quindi da presenza del virus), ma con assenza di replicazione virale e di altri sintomi o pregiudizi funzionali attuali. Chi è semplicemente positivo agli anticorpi del virus C non avrebbe pertanto diritto all’indennizzo.

c) il primo intervento della Cassazione: la sentenza n. 10214/07

Con sentenza n. 10214 del 4 maggio 2007 la sezione lavoro della Corte di cassazione non ha accolto l’interpretazione ministeriale, stabilendo che “l’indennizzo … è dovuto in tutti i casi di lesione permanente dell’integrità psico-fisica, e cioè della salute come tale, indipendentemente dall’incidenza sulla capacità di produzione di reddito”: poiché il contagio da HCV è “sicuramente danno permanente alla salute”, chi è portatore del virus ha diritto al beneficio, anche in assenza di altri sintomi.

d) l’inversione di rotta del 2008: la sentenza n. 17158/08

Questa impostazione è stata frettolosamente abbandonata con la sentenza n. 17158 del 24 giugno 2008, sulla base di considerazioni che non possono condividersi.

Secondo la Corte la lettera della Legge attesterebbe “con chiarezza che il riconoscimento del diritto all’indennizzo … richiede come presupposto indefettibile l’inquadramento dell’infermità derivante da emotrasfusioni in una di quelle che – per incidere sulla capacità lavorativa generica e per dare diritto a pensione o ad assegni temporanei – sia prevista in una delle categorie di cui alla Tabella A (allegata al d.p.r. n. 834/1981)”.

Sempre secondo la Corte, la ratio della normativa sarebbe “agevolmente individuabile in quella di non estendere in maniera illimitata la platea dei destinatari dell’indennizzo ma di garantirlo unicamente a coloro che in ragione della natura dell’infermità e/o della malattia contratta subiscano – anche se con diversa gradualità – un danno concretizzatesi in una limitazione della loro capacità lavorativa”.

Osserva ulteriormente la Corte che la ratio sopra descritta troverebbe conferma nelle parole della Corte costituzionale, che nella sentenza n. 423 del 16 ottobre 2000 ha ritenuto costituzionalmente legittimi gli articoli della Legge concernenti l’indennizzo per epatite post-trasfusionale, nonostante gli stessi quantifichino tale indennizzo senza prevedere “la liquidazione, sia pure in misura ridotta, del danno biologico”.

La Corte aggiunge anche che se venisse riconosciuto l’indennizzo al semplice portatore di un virus non attivo o comunque a chi sia affetto da “un qualsiasi danno alla salute”, la Legge incorrerebbe in seri rischi di incostituzionalità: “oltre che sul versante dell’art. 3 Cost anche per le ricadute derivanti – contro il dettato dell’art. 81, comma 4, Cost. – in termini di non calcolabile esposizione della spesa pubblica, essendo fatto notorio che nella esperienza medica quotidiana le epatiti spesso … si presentano ‘silenti’ anche per lunghissimi spazi temporali e talvolta, finanche, per tutta la vita”.

La Corte conclude quindi enunciando il seguente principio di diritto: la Legge “non trova applicazione nei casi di lesioni pur permanenti dell’integrità psicofisica, che non hanno però, in ragione dello stato ‘quiescente’ della infermità, incidenza alcuna sulla capacità di produzione di reddito”.

e) critiche alla sentenza 17158/08

e1) lettera e ratio della Legge

La lettera della Legge, cui la Cassazione dice di ispirarsi, evidenzia senza ombra di dubbio che l’indennizzo spetta a coloro che, a seguito di determinati trattamenti sanitari, hanno subito un danno irreversibile (e cioè una lesione permanente dell’integrità psico-fisica, anche senza incidenza sulla capacità lavorativa).

In altre parole, l’indennizzo spetta a condizione che il trattamento abbia provocato quel danno comunemente definito come danno biologico (in senso stretto).

La ratio della normativa, quindi, è quella di indennizzare, in una misura fissa predeterminata dalla Legge, tutto coloro che a seguito di determinati trattamenti sanitari hanno subito un danno permanente “di qualsiasi tipo”: non certo, come pretenderebbe la Cassazione, soltanto coloro che hanno subito un danno che comporti una diminuzione della capacità lavorativa.

e2) lavori preparatori e sentenze della Consulta

Questa conclusione trova conferma, innanzi tutto, nei lavori preparatori della Legge, dove mai venne posta la distinzione tra infermità produttive e non produttive di una diminuzione della capacità lavorativa generica; l’unico parametro preso in considerazione era la presenza di un danno irreversibile.

Trova conferma, inoltre, in tutte le sentenze della Corte costituzionale che si sono occupate di questa materia.

Così ad esempio nella sentenza n. 118 del 18 aprile 1996 si legge testualmente che il tipo di danno indennizzato dalla Legge consiste nelle “menomazioni permanenti, di qualsiasi tipo, da vaccinazioni obbligatorie, di infezioni da Hiv, da somministrazione di sangue e suoi derivati e di epatite post-trasfusionale”.

Così ancora nella sentenza n. 423 del 16 ottobre 2000 (e cioè proprio quella citata dalla Cassazione) la Consulta conferma che il diritto all’indennizzo “sorge per il sol fatto del danno irreversibile derivante da epatite post-trasfusionale”.

e3) errata interpretazione della sentenza n. 423/00 della Consulta

Secondo la Cassazione sarebbe costituzionalmente legittimo non indennizzare i portatori di epatite silente: questo anche perché la Consulta, nella sentenza già citata, ha ritenuto costituzionalmente accettabile che la Legge non indennizzi integralmente il danno biologico subito dall’emotrasfuso.

La Cassazione afferma che la Consulta avrebbe raggiunto tale conclusione “sulla base del rilievo dell’impossibilità di assimilare ai fini del riconoscimento dell’indennizzo la situazione di chi si sia sottoposto ad un trattamento sanitario imposto per legge (o incentivato e promosso dalla pubblica utilità)” (e quindi chi si sia danneggiato a seguito di vaccinazione) “e la situazione di chi abbia fatto ricorso ad un trattamento terapeutico resosi necessario per ragioni di salute” (e quindi chi si sia contagiato a seguito di trasfusione) “in quanto solo in quest’ultimo caso – essendo il trattamento sanitario assunto ad oggetto di un obbligo legale o di una politica pubblica di diffusione – trova giustificazione la solidarietà a carico della collettività; solidarietà che si esprime, appunto, nel riconoscimento del diritto a favore di chi soffra di un pregiudizio alla propria salute per essersi sottomesso al suddetto trattamento”.

In realtà la Consulta legittima una quantificazione dell’indennizzo inferiore al danno biologico semplicemente perché indennizzo e risarcimento sono istituti diversi: pur ristorando entrambi un danno alla salute, il primo presuppone la prova del contagio, il secondo esige anche che tale contagio sia imputabile a un terzo.

La Consulta cita invece le differenze tra vaccino e trasfusione di cui parla la Cassazione per uno scopo diverso: è cioè per legittimare il trattamento più favorevole che la Legge riconosce ai vaccinati, ai quali spetta un beneficio economico anche per il periodo compreso tra la prima manifestazione del danno e la domanda amministrativa (mentre ai non vaccinati i benefici economici vengono riconosciuti solo a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello in cui viene presentata la domanda di indennizzo).

e4) gli asseriti problemi di copertura finanziaria

La Cassazione osserva che qualora venisse indennizzato qualunque danno alla salute non sarebbe possibile calcolare l’esatta copertura finanziaria dell’indennizzo, dato che si tratta di malattie silenti per anni e non di rado per tutta la vita.

Non si comprende per quale motivo la spesa pubblica sarebbe esattamente calcolabile solo escludendo dal beneficio i portatori di patologie silenti, mentre non lo sarebbe nel caso opposto.

La argomentazioni utilizzate dalla Cassazione, tra l’altro, valgono a maggior ragione a favore dei portatori di malattie silenti: il malato che ignora di esserlo non chiede l’indennizzo e, quando eventualmente lo fa, la Legge glielo riconosce solo per il futuro.

e5) irrazionalità dell’esclusione della tutela per i portatori di patologie comunque produttive di danni irreversibili

Nel negare l’indennizzo a chiunque abbia una malattia quiescente, la Cassazione trascura (o comunque sottovaluta) aspetti medico-legali dai quali non si può invece prescindere.

Nella maggior parte dei casi la malattia è quiescente per negativizzazione di un virus precedentemente attivo: di solito grazie all’interferone e/o alla ribavirina, rimedi che per la migliore dottrina medico legale comportano, di per sé, danni irreversibili.

Nel periodo di attività, inoltre, l’agente patogeno “lavora” sul fegato del danneggiato, provocando danni irreversibili, documentabili con accertamenti bioptici o ecografici.

Per tutti i motivi sopra indicati è auspicabile che la sentenza n. 17158/08 costituisca un precedente che la Cassazione disattenderà nelle sentenze di prossima pubblicazione.

Alberto Cappellaro