Risarcimento: la Cassazione interviene sui principi di diritto delle sezioni unite


 

Con quattro recenti pronunce (le ordinanze 8430/11, 8431/11, 8432/11 e 8433/11) , la Corte di cassazione ha chiarito come debbano interpretarsi i principi di diritto contenuti nella sentenza a sezioni unite n. 581/08, concernenti le cause di risarcimento danni promosse contro il Ministero della salute.

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La Cassazione ha innanzi tutto confermato che il termine di prescrizione, quinquennale, decorre dalla data di presentazione della domanda di indennizzo, a meno che non vi siano “risultanze fattuali di segno contrario“.

La Corte ha altresì chiarito che affinché la prescrizione inizi a decorrere non è sufficiente una diagnosi, anche definitiva, di epatite cronica: è anche necessario che il danneggiato sia consapevole che la patologia è stata contratta a causa delle trasfusioni.

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Nella sentenza 581/08 la Suprema Corte ha stabilito che “anche prima dell’entrata in vigore della legge 4.5.1990, n. 107, contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, deve ritenersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, direttiva e vigilanza” sul sangue umano usato per scopi terapeutici: obbligo che gravava (e tuttora grava) sul Ministero della salute, che a norma dell’art. 1 co.1 della legge 296/1958 deve provvedere “alla tutela della salute pubblica”.

Nelle pronunce qui esaminate la Cassazione ribadisce innanzi tutto che la semplice violazione di quest’obbligo è sufficiente per costituire in colpa il Ministero della salute.

Ne consegue , come si legge ad esempio nell’ordinanza 8430/11, che  è “destituita di fondamento la … supposta insussistenza … dell’elemento della colpa … vale a dire della inesistenza di un dovere la cui violazione configura tale colpa; in sostanza della mancata violazione dell’art. 2043 c.c., sotto il profilo dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità tra il comportamento del Ministero e l’evento”.

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Ulteriormente, secondo le Sezioni Unite il giudice può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che l’omissione dei controlli  spettanti al Ministero sia causa della patologia e correlativamente che un adempimento corretto e puntuale di questi controlli avrebbe impedito il contagio.

Per dimostrare il nesso causale tra trasfusioni e malattia dovrebbe quindi essere sufficiente provare che il Ministero non ha adempiuto ai propri obblighi di controllo e vigilanza.

I giudici di merito, invece, spesso pretendono che sia anche dimostrato, con elevata probabilità, che la mancata effettuazione dei c.d. marker surrogati (e cioè dei test in grado di evidenziare l’epatite non A e non B)  avrebbe evitato il contagio.

Nell’ordinanza 8430/11 la Suprema Corte chiarisce che così facendo si disattendono “le indicazioni fornite dalle S.U.in ordine alla presenza di altri fattori alternativi che avrebbero potuto escludere il nesso di causalità”. E questo perché “il comportamento omissivo del Ministero non si esauriva nella sola omissione di effettuazione dei markers”, consistendo invece in un più generale e complesso “mancato esercizio dell’attività di controllo e vigilanza in merito alla tracciabilità del sangue”.

Pertanto, se è provata l’omissione dei controlli, “di nessun rilievo è …  la circostanza che i markers dell’epoca non erano in grado di fornire una consistente probabilità (superiore al 50%) della possibilità di prevenire il rischio da contagio”.

Ne consegue che, una volta accertata tale omissione, il nesso causale è escluso solo se “il comportamento omesso, se anche fosse stato tenuto, non avrebbe, comunque, impedito l’evento”.

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Nella sentenza 581/08 si afferma anche che la responsabilità omissiva contestata al Ministero è configurabile a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B.

Il Ministero della salute asserisce che tale data non potrebbe comunque essere anteriore al 1978.

L’ordinanza 8433/11 smentisce tale ricostruzione.

Con tale pronuncia la Suprema Corte ha infatti cassato con rinvio una sentenza della Corte di appello di Trieste nella quale il paziente era stato danneggiato a seguito di trasfusioni eseguite “fra la sua nascita … ed il 1973”: quindi quanto meno i contagi avvenuti nei primi anni ’70 sono fonte di responsabilità per il Ministero.

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Mi auguro che queste pronunce della Cassazione consentano un’ applicazione più corretta dei principi di diritto enunciati dalle sezioni unite.

Alberto Cappellaro